www.nomorewars.org

Dr Aleksandra Jovicevic

Associate Professor
School of Drama, University of Arts
Belgrade


28 maggio 1999

Il retaggio del bombardamento NATO sulla Yugoslavia

Solo due mesi fa mi stavo preparando per venire alla Quinta Conferenza di Studi sullo Spettacolo ad Aberystwyth ( Galles, Regno Unito), dove dovevo presentare la mia relazione sul Retaggio della Protesta Civile e Studentesca che ebbe luogo a Belgrado due anni fa, nell'inverno del 1996 e 1997. E' stata probabilmente la più grande sollevazione del popolo serbo contro il governo di Milosevic e fece perdere voti alle elezioni locali. La mia relazione descrive quanto sia stato inutile e infelice quest'ultimo tentativo di rovesciare pacificamente il partito al governo e il suo leader populista. E' stato anche il culmine di una serie di atti di resistenza civile e di poteste pacifiche contro la guerra che si succedettero a Belgrado anche prima che cominciasse la guerra nella ex-Yugoslavia.

Questi raduni iniziarono il 9 marzo 1991, quando circa trecentomila persone protestarono contro Milosevic a Belgrado, ma che però finirono anche con due morti e numerosi feriti. Se questo tentativo avesse avuto successo, forse si sarebbe potuta evitare una guerra crudele e sanguinosa nell'ex-Yugoslavia. Da allora circa centomila intellettuali e giovani professionisti hanno lasciato la Serbia in cerca di un altro paese, perchè non volevano prestare servizio in un esercito che stava portando alla guerra fra le repubbliche dell'ex-Yugoslavia, o perchè non erano d'accordo con tale politica. Vi fornisco una semplice statistica: prima della guerra in Serbia il 6% della popolazione aveva un'educazione universitaria, ed ora questa percentuale è ridotta al 3%, il che significa che la Serbia ha perso la metà della sua elite intellettuale. Quelli che sono rimasti qui per vari motivi, per lo più familiari o privati, hanno cercato con difficoltà di opporsi al governo e di creare e sviluppare una società civile. Vivere in Serbia in questi otto anni ha significato vivere in un periodo triste e duro, non solo per la vergogna di essere coinvolti nella guerra(e), ma anche per una vita fatta di pesanti ristrettezze, la guerra ha portato apatia e miseria, sanzioni internazionali e un tasso di inflazione fra i più alti del mondo.

Cari amici e colleghi, mentre vi scrivo questa lettera si sta svolgendo una nuova guerra in Yugoslavia. La maggior parte della gente di Belgrado è nei rifugi, perchè stanotte, come nelle ultime 64 notti, le sirene hanno annunciato un attacco aereo. Non mi considero coraggiosa per non essere andata nel rifugio, è solo che ho meno paura se resto a casa con i miei amici e la mia famiglia, con le candele accese, perchè da giorni c'è anche scarsità di energia alettrica a causa della distruzione delle centrali. Solo due mesi fa insegnavo e ci scherzavo sopra a tutta questa storia con i miei studenti, che, come me, non credevano che una guerra potesse veramente succedere. Ora le possibilità che ho di comunicare con loro sono molto scarse, ma penso a loro ogni giorno: so che alcuni sono espatriati in uno dei grandi esodi degli scorsi anni, ma altri sono in questo momento intrappolati in zone di guerra o rintanati nei rifugi, ma la cosa che temo di più è che qualcuno sia stato ucciso o reso invalido. Che senso avrebbe insegnare loro storia e teoria teatrale, che senso ha ora scrivere, recitare, dirigere o fare qualsiasi tipo di arte, quando la vita è diventata un dio crudele, per parafrasare W.B. Yeats.

Come tutti voi ben sapete, il nostro paese è stato attaccato dalle forze aeree NATO e nelle ultime quattro settimane abbiamo vissuto tra gli orrori di una guerra moderna. Alla fin fine, si potrebbe dire, i serbi sono stati puniti per le atrocità della guerra nella ex-Yugoslavia e ora provano cosa significhi una guerra direttamente sulla loro pelle. Ma che razza di guerra è questa? Le bombe vengono sganciate da aerei senza pilota, e non sono troppo selettivi riguardo gli obbiettivi, e di conseguenza molte persone innocenti vanno a finire tra i "danni colaterali", per parafrasare il portavoce della NATO; viene data notizia di terribili battaglie nel Kosovo; molti paesi e città sono già state completamente distrutte; e almeno un milione di persone sono state scacciate dalle loro case. Ad un osservatore esterno tutto ciò può sembrare un video game o un film di guerra visto in una qualche rete Tv mondiale, ma per me è reale per quanto reale possa essere una guerra terribile.

Questi attacchi non stanno solamente uccidendo persone innocenti, distruggendo ponti (finora 27 ponti sono stati completamente distrutti), industrie, e altri obbiettivi, ma stanno aiutando un piccolo dittatore a diventare sempre più forte. Attraverso questi attacchi aerei, la NATO sta aiutando Milosevic a raggiungere i propri scopi: rafforzare ancora più stabilmente il suo potere, avere un controllo più forte sullo stato, finire la pulizia etnica nel Kosovo, scacciare ancora più gente, dichiarare lo stato di guerra, imporre la legge marziale, vietare la libertà di stampa e media, e, per lo meno apparentemente, omogeinizzare la maggior parte dei serbi (la gente è troppo impaurita per protestare apertamente, anche se ultimamente è data notizia di alcune sollevazioni in qualche città della Serbia). Per esempio, nello stesso giorno in cui è iniziata questa guerra non dichiarata, il 24 marzo 1999, la famosa stazione radio B92, che negli anni ha informato i cittadini di ciò che stava realmente succedendo e sembrava esser l'unica luce in un tunnel di repressione, è stata messa a tacere e molti giornali indipendenti hanno smesso di essere pubblicati. Ora, Milosevic e il suo entourage, hanno portato a termine ciò che sognavano da lungo tempo: tutti i media danno le stesse notizie censurate, infarcite di un nuovo vocabolario ispirato alla guerra e di dichiarazioni di un rinato patriottismo. Seguendo i media locali si ha una visione distorta di cosa stia realmente succedendo (ad esempio, molto raramente vengono date notizie su quante persone o soldati sono morti, mentre non viene detta una parola sui profughi del Kosovo), ma per la maggior parte della popolazione queste sono le uniche notizie che ricevono. Quindi che scelta hanno? Se da un lato, come un qualsiasi essere umano, non posso accettare per nessuna ragione che qualcuno stia bombardando il mio paese, dall'altro lato non condivido tutto il patriotismo e la propaganda di guerra che ci viene continuamente scaricata addosso.

Il semplice fatto che a Belgrado l'acqua, l'elettricità e il telefono funzionino ancora, perlomeno per alcune ore al giorno, ci dà l'illusione che non siamo in guerra. Ma le università e le scuole sono chiuse, tutti i lavori editoriali sono stati fermati, i cinema programmano solo film nazionali con tematiche appropriate e nei teatri le rappresentazioni si svolgono in matinee, prima dei raid aerei, e vengono messi in scena spettacoli patriottici o d'evasione. Sembra che i confini con le nazioni che ci circondano non siano del tutto chiusi, e ciò permette ad alcuni di scappare, ma i confini verso l'Albania e la Macedonia sono sovraffollati di profughi dal Kosovo, che stanno provando sofferenze inimmaginabili e non hanno altra scelta. Il confine con l'Ungheria è congestionato dai molti che da Belgrado cercano di far sfollare le proprie famiglie, e che poi rimangono a Budapest e attendono il visto per altre nazioni.

Intanto, tutti gli uomini tra i 18 e i 65 anni possono essere soggetti alla chiamata militare e non possono lasciare il paese. E anche se potessero non sarebbe molto d'aiuto perchè la maggior parte delle ambasciate non rilascia visti ai cittadini yugoslavi, e presto saremo rinchiusi internamente ed esternamente dal resto del mondo, grazie alla NATO ma anche grazie alle nostre autorità. E come se non fosse abbastanza, anche se questa guerra finisse, è praticamente certo che la legge marziale recentemente proclamata rimarrebbe in vigore, e darebbe luogo a nuove repressioni, populismo, persecuzioni politiche, censura e con tutta probabilità all'arresto delle persone che la pensano diversamente, per non parlare della situazione economica. Questa povera nazione devastata dalle guerre precedenti, da criminali di guerra e dal proprio governo criminale si sta apprestando a diventare ancora più povera. Prima di questa aggressione il reddito annuo pro capite era di 1.400 dollari, e ora sarà probabilmente peggiorato.

Fortunatamente, come potete vedere, possiamo ancora comunicare anche se in modo discontinuo con il resto del mondo attraverso le e-mails e il telefono, anche con coloro che vivono in nazioni con cui la Yugoslavia ha rotto i rapporti diplomatici, e io sto approfittando di questa situazione. Chiaramente non sto scrivendo questa lettera per avere la vostra compassione o per criticare la vostra comoda posizione di intellettuali che vivono in pace in paesi più o meno democratici, ma che sono membri della NATO. Anzi, lo scopo di questa lettera è di chiedere la vostra empatia e comprensione. Vi sto chiedendo di non fare mai delle generalizzazioni, per nessun popolo, perchè ciò può diventare una cosa pericolosissima nel mondo moderno: dovete avere il buon senso di capire che non ci sono popoli buoni o cattivi, ma bensì governi giusti o scellerati. Vi prego di non incolpare e giudicare e punire un'intera popolazione con una guerra a causa della politica dei suoi leader! Ci devono essere altre strade, come le Nazioni Unite, i tribunali di guerra internazionali, o altre istituzioni democratiche che possano comminare delle pene per questi fatti atroci.

E' stato davvero un peccato che non abbia potuto venire alla Quinta Conferenza di Studi sullo Spettacolo poichè avevo programmato di mostrare un video sulle proteste di due anni fa. In questo modo almeno coloro che partecipavano alla conferenza, avrebbero potuto vedere i modi pacifici e civili che sono stati usati nel confronto col nostro governo autistico e violento. Provate ad immaginare voi stessi nella situazione che abbiamo vissuno noi negli ultimi anni: avreste usato pistole o bombe per rovesciare un dittatore che aveva rubato voti alle elezioni, o avreste provato ad abbatterlo cercando una soluzione ragionevole e pacifica? Noi l'abbiamo fatto e siamo arrivati ad un punto in cui l'unico modo per rovesciare Milosevic era spargere sangue nelle strade. Ma il sangue di chi? A quanto sembra la lotta dell'opposizione, di individui autonomi e dei movimenti civili non bastava a rovesciare questo regime corrotto. Se i cosiddetti paesi democratici membri della NATO avessero usato diversamente i soldi che stanno spendendo per armi e bombe altamente sofisticate, e li avessero investiti per stampa e mezzi di comunicazione liberi in Yugoslavia e per sostenere i partiti di opposizione, avrebbero dato un aiuto mille volte più grande che bombardando dei civili innocenti.

Non sto quindi criticando gli argomenti "gioiosi" e le pubblicazioni di studi sullo spettacolo che voi, cari colleghi e amici, state discutendo in varie conferenze, festival e accademie estive, ma per la prima volta sento che devo ricordare a qualcuno che proprio dietro l'angolo stanno succedendo cose molto più importanti e drammatiche e che la guerra si può diffondere in altri paesi. Non vedo nessun finale lieto per questa guerra. Al di là delle disgrazie che peggiorano ogni giorno, la Serbia diventerà una società chiusa (parafrasando l'argomento della Quinta Conferenza di Studi sullo Spettacolo: diventerà una terra al di là), e se voi siete come me e come migliaia di altre persone che qui tendono a criticare il regime, i media, e la pazzia generale delle nazioni coinvolte in una guerra, allora vi sentireste come mi sento io ora: un immigrante interno.

May 28, 1999

The legacy of NATO bombardment of Yugoslavia

Only two months ago I was preparing to come to the Fifth Performance Studies Conference in Aberystwyth ( Wales, U.K.), where I was supposed to present my paper on the Legacy of the Civil and Students' Protest in Serbia that took place two years ago in the winter of 1996 and 1997. This was perhaps the largest upheaval of Serbian people against Milosevic's government and stolen votes at the local election. My paper describes how futile and unhappy proved to be this last peaceful attempt by Serbian people to overthrow the ruling party and its populist leader. It also represented a culmination of many civil resistance events and peaceful anti war protests that went on in Belgrade even before the war in ex-Yugoslavia started.

These rallies started on March 9, 1991, when about three hundred thousand people in Belgrade protested against Milosevic, but which also ended with two people killed and many injured. If this attempt had been successful, a brutal and bloody war in ex-Yugoslavia perhaps could be prevented. Since then about hundred thousands of intellectuals and young professionals left Serbia in search of another country, not wanting to serve the army that carried on the war in ex-Yugoslav republics, or because they disagreed with such policy. Just to give you a simple statistic: before the war Serbia had 6 % of university educated population and now this number has been reduced to 3%, which means that it has lost half of its intellectual elite. Others, who stayed here for various, mostly family or private reasons, at least were trying hard to oppose the government and to create and develop a civil society, no matter how uncertain. To live in Serbia this last eight years meant to live through a grim period not only of shame of being involved in the war(s), but also a life of terrible shortages, war induced apathy and poverty, international sanctions and one of highest inflation rates in the world.

Dear friends and colleagues, while I am writing this letter to you, a new war is developing in Yugoslavia. Majority of people in Belgrade are in shelters, because tonight as on last 64 nights, an air raid attack has been announced through sirens. I do not consider myself brave not going to a shelter, but only being less scared to be at home with my friends and family, under candle lights, because there is also a shortage of electricity which already lasts for days due to the destruction of power supplies. Only two months ago I was teaching and making fun of the whole situation with my students who, like me, did not believe that the war would actually happen. Now, I have a very scarce possibility to communicate with them, but everyday I think of them: I know that some have escaped the country in one of the greatest exodus in the last years, but some are now trapped in war zones or shivering in shelters, and what I fear the most some might be killed or crippled. What sense would it make to teach them anything about theatre theory and history, what sense there is now to write, act, direct or make any kind of art, when life here has become a savage God , to paraphrase W.B. Yeats.

As you are all very well aware, our country has been attacked by the NATO air force and for the last nine weeks we have been living through a horrors of a modern war. At last, one would say, the Serbs are punished for the war atrocities in ex -Yugoslavia and now feel a war directly on their heads! But what war that is! Pilotless air-planes are throwing bombs, not being too selective about their targets and therefore many innocent people end up like "collateral damage", to paraphrase NATO's spokesmen; inside Kosovo there are reports of terrible confrontations; many villages and towns have been already completely destroyed; and at least a million people have been displaced from their homes. To a distant observer it may look like a video game or a war movie seen on some global TV network, but to me it is real as real a dreadful war could be.

These attacks are not only killing innocent people, devastating bridges (so far 27 bridges have been completely destroyed), factories, and other targets, but they are helping a small dictator to become even stronger. Through these air-strikes, NATO actually helped Milosevic to achieve his goals: to establish his power even firmly, to control the state more strongly, to finish the ethnic cleansing in Kosovo, to displace even more people, to pronounce the state of war, impose military laws, to ban free press and media, and seemingly to homogenize most of the Serbs (people are too scared to protest openly, although lately there are reports that there are some upheavals in few Serbian cities). For example, at the very day when this unproclaimed war started on March 24, 1998, the famous radio station B92, which through the years informed people on what has been really going on and seemed to be the only light in a tunnel of repression, has been silenced and many independent newspapers stopped being published. Now, Milosevic and his entourage achieved of what they dreamed long ago: all the media are reporting the same, censored news, full of new war inspired vocabulary and statements of nouvelle patriotism. By following the local media one gets a distorted picture of what is really going on (for example, very seldom there are news of how many people or even soldiers are killed, while there is not a word on Kosovo refugees), but for most of the people these are the only news they get. So what choice do they have? As a normal human being, I cannot accept that somebody is bombarding my country for any reason, but on the other side, I do not feel at home with the whole patriotic and war propaganda that is going on at the same time and at the same pace.

The sheer fact that in Belgrade water, electricity and telephone lines are still functioning at least for few hours a day, gives us an illusion that we are not at war. But university and schools are closed, all publishing work has been stopped, cinemas are showing only domestic movies with appropriate themes and the theaters are performing escapist or patriotic plays in matinees before the air raid. It seems that the borders of surrounding countries are still ajar, which enables some people to escape, but the borders toward Albania and Macedonia are overcrowded with refugees from Kosovo, who are going through unimaginable suffering and do not have other choice. The border toward Hungary is congested with many people from Belgrade trying to evacuate their families, who then stay in Budapest and wait for visas for various countries.

Meanwhile, all the men between 18 and 65 years of age have been proclaimed subject to military conscription and cannot leave the country. Even if they could leave that would not help much because most of the embassies are not issuing visas to Yugoslav citizens, and soon we will be locked inside/out from the rest of the world, thanks to the NATO, but also to our own authorities. To make things worse, even if this war will end, it is almost certain that this newly proclaimed martial law will stay in power, making a way for a new repression, populism, political harassment, censorship, and most probably arrests of people who think differently, not to mention the economic situation. This poor and devastated country by previous wars, war criminals and by its own criminal government is now going to be even poorer and more remote from any kind of prosperous life. Before this attack our annual income per capita was 1,400 dollars and now will probably be worsened.

Luckily, as you can see, we can still communicate on and off with the rest of the world through e-mails and telephones, even with those who live in countries with which Yugoslavia has broken-off diplomatic relationship, and I am taking the advantage of this situation. Of course, I am not writing this letter in order to ask for your sympathy, or to criticize your comfortable position of intellectuals who live in peace and in more or less democratic states, but who are members of the NATO alliance. Rather, the aim of this letter is to ask for your empathy and understanding. I am asking you never to generalize about any nation, since it could become a most dangerous thing that exist in modern world: you should know better that there are no good or bad nations, but rather righteous and villainous governments. Please do not blame and judge and punish through a war a whole population for the policy of their leaders! There must be other ways, like United Nations, international war tribunals, or other democratic institutions where these atrocious deeds should be penalized.

It was too bad that I could not make to the Fifth Performance Studies Conference since I have planned to show a video of the protest from two years ago, in which, at least the conference participants, could see what civil and peaceful ways have been used in confrontation with our autistic and fierce government. Envision yourself in the same situation, in which we have been for the past years: would you take guns or bombs to overthrow a dictator, who had been stealing votes at the elections, or would you try to find any reasonable and peaceful solution to do so? We did it and arrived to an end when the only way to overthrow Milosevic was to shed blood on the street. But whose blood? It seems that the struggle by the opposition, or independent individuals and civil rights movements was not enough to overthrow this corrupt regime. If the so called democratic nations, members of the NATO alliance, used the money, which they are using for the armament and highly sophisticated bombs, and invested that money into free press and media in Yugoslavia and also assisted the opposition parties that would help thousand times more than shelling the innocent civilians.

Therefore, I am not criticizing the "cheerful" themes and issues in performance studies that you, my dear colleagues and friends, are discussing throughout various conferences, festivals and summer academies, but for the first time I feel like I should remind someone that just around a corner a more important and more dramatic things are happening and that the war might spread out to other countries. I do not see any good end of this war. Besides its causalities which every day are becoming worse, Serbia will become a closed society (to paraphrase the explication of the Fifth Performance Studies Conference: it will become a terrain beyond), and if you are like me and other thousands of people here who still tend to express their opinion against regime, the media, the general insanity of the countries involved in a war, then you would feel like I feel now: an inner immigrant.


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